L'IMPORTANZA di OSSERVARE SENZA GIUDICARE

14 Feb 2022

  • di Giuseppe Sferrazzo
  • /
  • Counseling

“La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare”.

Quando ho letto questa frase del filosofo contemporaneo di origine indiana Jiddu J.Krishnamurti, sono rimasto come folgorato.

Mi ha fatto profondamente riflettere sul fatto che, a ben vedere, ciò che accade nella quotidianità è quasi sempre il contrario: l’attitudine che manifestiamo, in modo “automatico” è quella di giudicare, senza osservare!

Molto spesso accade che, in preda alle nostre emozioni e alla nostra mente che risponde in modalità d’impulso a quanto le arriva dall’esterno, utilizziamo il giudizio per interagire con gli altri… e magari lo facciamo perché la nostra propensione vorrebbe essere positiva.
Purtroppo scopriremo che non è affatto così.
Quando utilizziamo il giudizio ciò che arriva al nostro interlocutore, ovvero il “ricevente” della Comunicazione, non è mai qualcosa di costruttivo o di positivo.

Proviamo ad analizzare i due protagonisti della nostra riflessione, giudizio e osservazione, alla luce anche dell’etimologia delle parole, per cercare di capire meglio come impegnarsi a sostituire alla pratica giudicante quella, meno invasiva, dell’osservazione.

Significato e potere del giudizio

L’etimologia della parola giudicare è da ricondurre al latino judícare, derivazione di judex = giudice. Che grande responsabilità!!

Judex deriva dall’unione di ius + decs (dicere) cioè colui che dice, che si pronuncia sul diritto. Nel senso più ampio, giudicare significa valutare, stimare, esprimere un’opinione pesata.
Oggi, anche la semplice definizione di giudizio è molto controversa e, a ben vedere, particolarmente sfumata. Certo dipende molto dal settore nel quale il termine viene utilizzato ma, in ogni caso, esistono grandi difficoltà a far comprendere “il senso di responsabilità” che è alla base dell’attività giudicante; molti di noi non sono pienamente consapevoli che il giudizio può essere un’arma (potente!) di distruzione. Le conseguenze più immediate sono di ordine estremamente pratico: il giudizio è utilizzato con grande leggerezza e semplicità.
I nostri pensieri e le nostre parole sono, sempre più spesso, delle relazioni centrate sulle attività giudicanti.

Eppure la nostra vita è costruita anche attorno al giudizio, nostro e altrui: la scuola, il lavoro, la famiglia, le amicizie, la dimensione sociale … tutto può essere caratterizzato dal giudizio e da parole (oltre che atteggiamenti) giudicanti.
Il giudizio si esprime in modo primario con le nostre parole, oltre che con i nostri atteggiamenti (esistono anche atteggiamenti giudicanti che non hanno bisogno di parole).
Ed ecco che la tendenza giudicante non è soltanto una mera questione etica, bensì una ben più concreta dinamica legata alla qualità della nostra Comunicazione e quindi delle nostre relazioni.
La domanda clou per convincerci della necessità del cambiamento è:
“ Il mio atteggiamento giudicante quanto e come influisce sulla qualità delle mie relazioni”?

Un set di domande utili per giungere a una maggiore consapevolezza è il seguente:
Che clima creiamo attorno a noi con la nostra Comunicazione?
Le persone amano la nostra presenza, anche quando si hanno opinioni differenti?
Oppure cercano qualsiasi occasione per sfuggirci?
Le nostre parole costruiscono ponti o li buttano giù (i ponti della relazione).

E’ ovvio che il giudizio, in molte occasioni, diventa un’opzione semplice; forse la più semplice da scegliere.
Esprimere ed imporre un giudizio è semplice. Ci chiede poche energie.

Il valore positivo dell’Osservare

Mi chiedo se c’è qualcosa di più spontaneo e naturale dell’atto del guardare e, allo stesso tempo, di essere oggetto degli sguardi di chi ci circonda…
Guardare è un’attività che fa parte dell’esperienza personale continua di ciascuno di noi: è attraverso quest’attività che avviene il nostro primo contatto con la realtà circostante.
Guardare è il mezzo più immediato, spontaneo ed efficace per entrare in possesso di informazioni, cogliere dettagli di quello che avviene attorno a noi, registrare input che provengono dal mondo che è fuori da noi.
Credo sia fondamentale provare ora a dare una definizione dell’osservazione, partendo proprio dall’etimologia che, come sapete, spiega tantissimo di una parola che rappresenta un concetto.
Osservare deriva dal latino observÃÂre, termine composto da ÃÂb = controverso’ e servÃÂre ‘= serbare, custodire.

Il significato più completo è quello di “guardare con attenzione” – “guardare con cura” – “guardare in profondità”.

Emerge da questa definizione il termine “guardare” e, si capisce benissimo, che l’atto di osservare non può essere automaticamente “sovrapposto” a quello di guardare.
Osservare è qualcosa di ben più profondo e attento rispetto al gesto del “semplice guardare”.
La domanda, in questo caso, è:
I due termini hanno la stessa valenza o possiamo cogliere delle differenze?

Considerando attentamente le differenze che intercorrono tra l’atto del guardare e l’azione dell’osservare ci si può rendere conto di come, tra i due concetti, esistano tantissime sfumature tali da produrre risultatidifferenti. Ad esempio l’atto del vedere nel senso di guardare è spontaneo, immediato, generico, non necessariamente attento e non selettivo.
Ben diverso è invece quello dell’osservare.
Ciò che caratterizza l’osservazione sono: la finalità e la autentica intenzionalità: una persona che osserva ha un preciso obiettivo che consiste nella conoscenza e nella descrizione, il più possibile oggettiva e fedele, del fenomeno o della situazione. Osservare vuol dire “esplorare” e l’osservazione si configura quindi come un processo cognitivo, in quanto non solo ci permette di guardare un fenomeno o un evento ma, soprattutto,ci aiuta a comprenderlo meglio.

Ecco perché quando osserviamo senza giudicare stiamo raggiungendo due importanti risultati, uno rivolto verso l’interno (noi stessi), e uno verso l’esterno (i nostri interlocutori):

- ci alleniamo a sospendere il giudizio e a posticipare l’eventuale valutazione
- Ci alleniamo al rispetto del nostro interlocutore, sostituendo all’immediato giudizio un senso di “osservazione attenta”.
Essere un buon osservatore, in grado di controllare i giudizi, di posticiparli, di annullarli oppure di riformularli in modalità più pertinenti, non è scontato…
e non è neppure semplice.

La proposta della Comunicazione non Violenta, osservare senza giudicare

Siamo tutti d’accordo sul fatto che, oggi più che mai, una Comunicazione di qualità con se stessi e con gli altri è una competenza preziosissima, quasi una necessità, un bisogno.

Per raggiungere questo obiettivo in termini di “qualità relazionale” una proposta molto interessante ci viene dagli studi e dall’impegno di un grande psicologo come Marshall Rosenberg, ideatore dei principi della Comunicazione non Violenta.
Consapevole proprio di quanto sia importante per l’uomo “lavorare” sulla distinzione tra osservazione e atteggiamento giudicante, Rosenberg, sostiene con forza che “la prima componente e il primo passo per una Comunicazione di valore è quello di imparare a separare nettamente l’osservazione dalla valutazione come giudizio”.

Lo psicologo americano ricorda in più momenti della sua attività che dobbiamo immaginare di essere come delle “telecamere” che, semplicemente, registrano i fatti, perché abbiamo un gran bisogno di osservare con chiarezza quello che vediamo o sentiamo, senza miscelare a tale osservazione nessun giudizio (o valutazione).

Nel suo modello della Comunicazione non Violenta, l’osservazione ha un posto privilegiato. Se non prestiamo la massima attenzione a questo primo step, imparando a distinguere l’osservazione dal giudizio, il rischio è che il messaggio non passi per quello che è veramente, che possa essere travisato o, peggio, che non raggiunga il destinatario perché quest’ultimo appena percepito un giudizio si è già “chiuso in difesa”… ha alzato un muro invalicabile.

L’obiettivo di Rosenberg non è quello di annullare i giudizi che, in molte situazioni relazionali o sociali, possono anche essere utili per orientare le nostre scelte, bensì l’obiettivo vero e realistico è quello di allenare l’essere umano a separare le osservazioni dalle valutazioni. In questo modo sapremo quando usare le une e le altre, in modo più consapevole, rendendo efficace la nostra Comunicazione.

Lo studioso di semantica Wendell Johnson sostiene che il nostro linguaggio, attraverso il quale esprimiamo le nostre valutazioni, è uno strumento spesso duro, rigido, inadeguato a esprimere la realtà multiforme che incontriamo e viviamo, una realtà complessa e articolata, che muta continuamente.
Ecco perché il nostro linguaggio (e il nostro atteggiamento) deve orientarsi più sull’atto dell’osservare che su quello del giudicare.

Quando, ad esempio, diciamo a Giorgio che non è molto bravo a giocare a calcio, oppure a Marta che è sempre la solita pigra, (sono degli esempi estremamente semplici ma che potrebbero rientrare nella nostra quotidianità!)ci troviamo di fronte a delle situazioni tipiche nelle quali, pur senza volerlo, le valutazioni (i giudizi) vengono mescolati e anzi sostituiti alle osservazioni.

Questa dinamica può creare delle generalizzazioni molto pericolose che possono creare incomprensione, frustrazione, distanza, aridità e, cosa ancora più grave, anche la nostra e la altrui autostima può risentirne.

Mi piace concludere questa riflessione sull’importanza di distinguere tra osservazione e giudizio con dei versi scritti da Ruth Bebermeyer, collega di Marshall Rosenberg, che in modo schietto e semplice, sintetizza molto meglio di me, l’importanza e la potenza dell’ osservare:

Non ho mai visto un bambino stupido, ho visto un bambino che, talvolta, faceva delle cose che io non comprendevo, oppure le faceva in modi che io non avevo previsto (…)
così sono giunta alla conclusione che se non mescoliamo ciò che vediamo con quella che è la nostra opinione, ci salveremo dalla confusione.”

E’ proprio vero, la più alta forma di intelligenza umana, consiste nel riuscire a trattenere il giudizio rendendo prevalente l’osservazione.

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