Si tratta di una particolare abilità, che definisce e caratterizza il nostro essere “umani”, solo in parte innata e che ci viene tramandata attraverso il nostro corredo genetico… per il resto è qualcosa che si sviluppa con l’impegno e l’allenamento.
E’ come un seme prezioso che, se curato, annaffiato, seguito e coltivato nel modo opportuno, può diventare una pianta ancora più bella di quella che potrebbe diventare, se lasciata crescere in modo esclusivamente naturale. L’empatia è una competenza spirituale che ci permette di accogliere gli altri e il loro mondo interiore.
- Definiamo l'empatia
L’empatia è prima di tutto un’ abilità, profondamente umana, che consente a ognuno di noi di comprendere lo stato d’animo delle persone con le quali entriamo in relazione. E’ quella “modalità” grazie alla quale riusciamo a percepire i cambiamenti di umoree gli stati emotivi altrui e che ci consente di metterci dalla parte dell’altro, “dentro le sue scarpe”, partendo dall’osservazione e dall’ascolto… in questo modo mettiamo a punto una specie di “sintonia” emotiva.
Cosa ancora più importante è che l’empatia favorisce quelle forme di accoglienza in grado di coinvolgerci, in modo completo, valorizzando e moltiplicando la nostra più preziosa umanità.
La parola “Empathy” fu coniata per la prima volta da Edward Titchener come traduzione del termine tedesco “Einfuhlung” e poi utilizzato dalla metà del secolo scorso, da alcuni autori, per definire il livello di gradimento estetico.
Il termine, originariamente, deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro” e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri sentendole, immedesimandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, emozioni e sentimenti, senza lasciarsi coinvolgere pienamente e con la consapevolezza autentica che si tratta di stati emotivi esterni.
- I diversi gradi dell’Empatia
Daniel Goleman, il padre della moderna Intelligenza Emotiva, autore della famosissima opera omonima, la presenta come una delle competenze fondamentali per l’uomo, distinguendo tra:
- Empatia cognitiva
- Empatia emotiva
- Preoccupazione empatica.
Secondo Goleman si tratta di un’abilità individuale che ha conseguenze positive importantissime anche a livello “sociale”.
Cerchiamo di comprendere meglio questo fondamentale concetto approfondendo le tre definizioni di Empatia che, in verità, sono la rappresentazione di una vera e propria “progressione empatica”.
Parliamo di Empatia Cognitiva e grazie ad essa comprendiamo come gli altri vedono il mondo, cosa pensano e quali sono i loro schemi interpretativi della realtà.
Ci avviciniamo al loro mondo in modo quasi esclusivamente mentale.Questo tipo di Empatia ci consente di riconoscere i loro sistemi valoriali che permettono ai nostri interlocutori di decodificare gli eventi emotivi che, numerosissimi, si succedono nel corso della vita. Comprendiamo gli altri ma, molto spesso, non riusciamo a provare quello che provano.
Questo è solo un livello… un primo livello al quale possiamo fermarci.
Proviamo a riconoscere gli altri…
Il secondo step empatico è quello dell’Empatia Emotiva.
Grazie ad esso possiamo stabilire una “connessione” da cervello a cervello, spesso in modalità immediata e così vivere una sensazione emotiva forte, molto profonda, quasi una sintonia “chimica”, di quello che sentono gli altri.
L’empatia emotiva è vissuta anche con delle importanti sensazioni “fisiche” che ci consentono di provare quello che stanno provando gli altri. Ci spingiamo ancora più avanti perché riusciamo a “comprendere” e anche a “provare” la situazione emotiva degli altri.
In questo momento avviene quindi un vero e proprio rispecchiamento con l’altro, grazie al sistema dei neuroni specchio che attivano, nei nostri circuiti cerebrali, le stesse emozioni che stanno vivendo gli altri, pur consapevoli del fatto che le sofferenze altrui non sono le nostre.
- La Preoccupazione empatica e il Buon Samaritano
Queste due fasi dell’empatia sono importantissime per “sentire” il mondo degli altri, per rispettarlo, per capirlo meglio e accettarlo.
Eppure non sono sufficienti a “determinare” il nostro eventuale atteggiamento di cura verso gli altri.
Mi piace tantissimo la vicenda biblica del personaggio del Buon Samaritano che è arrivato a toccare, sviluppare e mettere in pratica, il terzo stadio della dimensione empatica, quella che Daniel Goleman definisce la “preoccupazione empatica o compassionevole”.
In questa specifica dimensione non solo ci fermiamo a riconoscere il mondo dell’altro, a identificarci mentalmente con lui, a sentire le sue preoccupazioni, ad accettare il suo mondo.
Ci spingiamo oltre.
Ci sintonizziamo pienamente con il nostro interlocutore e, in più, comprendiamo in che modo aiutare la persona che ci sta davanti, riconoscendone pienamente l’umanità.
Questo non vuol dire necessariamente “fare” qualcosa, perché anche semplicemente donare il nostro tempo o la nostra presenza fisica e mentale, potrebbe essere uno strategia meravigliosa per prendersi cura degli altri.
E’ in questo “stadio” della preoccupazione empatica che, una delle competenze umane più invisibili, ma anche più celebrate e ricercate, si manifesta in tutta la sua potenza ed efficacia.
Perché è grazie alla “preoccupazione empatica” che si costruisce uno dei fondamenti del vivere sociale, e quindi civile, di cui oggi abbiamo così disperatamente bisogno:
la certezza che qualcuno è disposto a prendersi cura di noi, a sostenerci, ad accudirci, a preoccuparsi per noi.
E’ ciò che ha fatto il Samaritano verso una persona (un ebreo) che per tradizione, cultura, educazione e sentir comune, avrebbe dovuto essere un suo nemico e avversario, qualcuno che non si sarebbe potuto accettare e aiutare.
- Conclusioni
L’individualismo che abbiamo coltivato con folle cura negli ultimi secoli del nostro Mondo occidentale è come se avesse tolto forza alla nostra empatia, mettendola all’angolo nella nostra mente e anche nella nostra pratica quotidiana.
“Si va avanti solo se siamo più forti e siamo capaci di schiacciare gli altri…”
Beh… se gli effetti di questa logica sono quelli che, giornalmente, abbiamo sotto gli occhi, forse è il caso di cominciare a pensare che abbiamo sbagliato qualcosa e tornare a investire sull’educazione empatica ed emotiva, sia degli adulti che dei giovani, ridandole la forza e l’attenzione che merita, rimettendola al centro delle nostre vite che, altrimenti, sotto tutti i punti di vista, sembrano destinate a disgregarsi… letteralmente.
L’empatia più in generale e, in particolare, la preoccupazione empatica, ci aiutano a “non spegnere” i nostri circuiti emotivi, facendoli funzionare al meglio e capire così che, là fuori, serve una grande disponibilità e un profondo rispetto.
Il mondo, la vita e le persone, hanno bisogno della nostra progressione Empatica e gli altri saranno migliori se noi lo saremo per primi.